Nel giudizio di merito per la richiesta di risarcimento dei danni conseguenti a un infortunio avvenuto su uno scivolo acquatico di un parco piemontese, il giudice rigetta la domanda di risarcimento del danneggiato e si sofferma sulla sicurezza degli scivoli acquatici in rapporto ai comportamenti degli utenti, scagionando il parco.
Abbiamo commentato più volte le sentenze che considerano le attività all’interno dei parchi di divertimento come “attività pericolose” ai sensi dell’art. 2050 c.c che, lo ricordiamo, dispone “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. C’è in questo caso l’inversione dell’onere della prova: una sorta di presunzione di colpa in capo al gestore, tenuto quindi a dare prova di aver adottato tutte le misure possibili per evitare il danno.
La recente sentenza che riportiamo, del Tribunale di Alessandria, a conclusione del procedimento n. r.g. 3219/2021, si sofferma ampiamente sul concetto di attività pericolosa e l’estensore commenta i fatti e rileva “Senonché, come ha ben osservato la dottrina più attenta “Non può essere sottaciuta la circostanza che, sovente, proprio in tema di responsabilità per esercizio di attività pericolose, taluni tendano a confondere la pericolosità della condotta con quella dell’attività; grazie all’intervento dei Giudici di legittimità è stato chiarito che “la prima riguarda un’attività normalmente innocua, che assume i caratteri della pericolosità a causa della condotta imprudente o negligente dell’operatore, ed è elemento costitutivo della responsabilità ex art. 2043 c.c.. La seconda riguarda, invece, un’attività che è potenzialmente dannosa di per sé per l’alta percentuale di danni che può provocare in ragione della sua natura o della natura dei mezzi adoperati ed è una componente della responsabilità indicata dall’art. 2050 c.c..” (Simona Paola Bracchi, “Noterella in tema di risarcimento del danno. Riflessioni sugli articoli 2050 e 2051 c.c. Il caso dell’incidente in parco acquatico, sullo scivolo denominato “toboga””, in Judicium, 2019).
Invero, l’attività posta ora in esame pare infatti esulare dalla nozione di “attività pericolosa”, poiché, da una parte, l’attività di gestione di scivoli all’interno di parchi acquatici non è qualificata come tale dalla legge o da altri provvedimenti di rango secondario e, dall’altra, nemmeno si può ritenere che, per la natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comporti una “rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva”, così come costantemente richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, poiché si tratta nella fattispecie, come allegato dalla difesa della convenuta e come risultato nella relazione peritale del CTU, di uno scivolo destinato a soggetti oltre un’altezza di 120 cm (dunque anche a bambini), ed oggettivamente caratterizzato da una inclinazione non accentuata e conseguentemente velocità moderata (di 8,5 Km/h, come indicato nella relazione del CTU a pag. 11) di discesa degli utenti.
L’attore quanto alla descrizione del fatto ha sostenuto che il giorno 15 agosto 2019 si trovava all’interno del Parco Acquatico X, in Località x, gestito dalla convenuta, per trascorrere una giornata in compagnia di un amico e decideva di sperimentare alle ore 17.00 circa anche l’acqua scivolo “VORTEX” (di nuova inaugurazione, avvenuta il precedente giugno), ossia lo scivolo più alto del Parco che consente di scendere da un’altezza di 15 metri con un gommone monoposto o biposto. Pertanto, a detta dell’attore, egli “saliva sull’attrazione VORTEX prendendo posto, insieme ad un amico, Sig. X, sul gommone da discesa per doppio passeggero. Percorsa la prima parte dello scivolo, all’interno del primo imbuto, il gommone, anziché procedere regolarmente, si rovesciava facendo cadere repentinamente ed inaspettatamente entrambi i passeggeri … Quest’ultimo, nella caduta, colpiva violentemente la spalla destra sul fondo dello scivolo riportando la frattura composta al 1/3 laterale della clavicola dx. Immediatamente soccorso dal personale presente al parco, al Sig. X veniva applicato del ghiaccio nella impossibilità, allo stato, di valutare opportunamente l’esito della lesione”. Tuttavia, prosegue il testo delle conclusioni “Nella fattispecie, pertanto anche a voler ignorare che l’attore non abbia dapprima raggiunto la prova sulla esistenza del nesso causale, è comunque emerso attraverso le deposizioni testimoniali, che prima del supposto evento di rovesciamento del gommone all’interno dello scivolo, lo stesso attore (ed il suo amico) siano stati richiamati dagli assistenti bagnanti per avere tenuto comportamenti anomali, il ché indurrebbe a ritenere che la sua condotta abbia avuto una efficienza causale tale da realizzare il c.d. caso fortuito, liberatorio per la responsabilità del custode”. Rileva infine il magistrato che “In particolare, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (espressamente in tali termini: Cass. 06/05/2015, n. 9009; in precedenza, peraltro, già Cass. 10300/07)”.
Si tratta di una pronuncia importante per tutti i soggetti che gestiscono spazi per il divertimento, non solo parchi acquatici ma anche attrazioni, parchi avventura e contesti nei quali la potenziale pericolosità è legata al mancato rispetto delle procedure da parte del partecipante. Del resto le statistiche confermano che nel settore delle attrazioni da divertimento, oltre il 90 per cento degli incidenti è causato da comportamenti irregolari degli utenti.