L’utente scivola sul pavimento bagnato in piscina? Di chi è la responsabilità? Secondo la Suprema Corte, che ribalta la sentenza del Tribunale, non c’è responsabilità del gestore di un parco acquatico per la caduta di un ospite a causa del vialetto bagnato. Dopo quella, già commentata, sulla responsabilità genitoriale e l’obbligo di vigilanza, una nuova sentenza fa chiarezza sulle responsabilità di un gestore di attrazioni. Nel caso affrontato dalla VI Sezione della Corte di Cassazione (Sez. VI Civile, ordinanza n. 23108/15, depositata il 12 novembre) i giudici hanno confermato la sentenza della Corte d’Appello, che aveva già censurato la sentenza di primo grado, con condanna alle spese da parte del ricorrente. Il tema è comunque interessante anche per parchi di divertimento e gestori di parchi giochi per bambini.
Il ricorso è stato rigettato dalla Cassazione perché già la Corte d’Appello “ha attribuito la responsabilità dell’evento dannoso all’esclusiva colpa del M., riconducibile al fatto che egli avrebbe dovuto usare maggiore prudenza, in particolare utilizzando l’apposito corrimano; e comunque, il fatto si era verificato di giorno, in una situazione di piena luminosità e la chiazza d’acqua era «perfettamente visibile da parte di chi adoperasse anche una minima attenzione». Questo orientamento giurisprudenziale va nella direzione della citata sentenza sulla responsabilità dei genitori in merito alla vigilanza dei bambini in una attività ludica di un parco giochi al coperto: è dunque l’utente, ed il suo accompagnatore se minore, il responsabile principale delle proprie azioni, da gestire con accortezza e rispetto delle regole.
Interessante, anche per future controversie, il riconoscimento del “caso fortuito” ex art. 2051 C.C., che, lo ricordiamo, recita “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. In genere il riconoscimento del caso fortuito da parte dei magistrati è cosa non frequente: il “custode della cosa”, ovvero, in questo caso, il gestore del parco acquatico, è di fatto sempre responsabile dei danni cagionati dall’impianto, salvo provare che l’evento dannoso si è prodotto, appunto, per caso fortuito, che lo sottrae dalle responsabilità. In sostanza i giudici hanno riconosciuto il fatto che sia possibile avere superfici bagnate vicino a piscine e parchi acquatici, ed è necessaria prudenza ed attenzione da parte degli utilizzatori, per evitare di cadere su pavimenti sdrucciolevoli.
La sentenza interessa, ovviamente, anche gestori di impianti sportivi in genere, piscine e spogliatoi, anche di hotel, strutture ricettive o centri benessere, nei quali è possibile che la pavimentazione siano scivolosa, perché bagnata. E nei parchi giochi? Nel luna park ci sono attrazioni acquatiche, come l’ottovolante acquatico, la motonautica per bambini e le sfere galleggianti. I gestori dovranno assumere le precauzioni necessarie, riguardo alla pavimentazione, e magari apporre adeguata cartellonistica che informi della possibilità di scivolare sul bagnato. Tuttavia anche il cliente è chiamato ad adottare le accortezze del caso.
I giudici hanno valutato in questo caso che la presenza di bagnato sulla pavimentazione della piscina di un parco acquatico non sia certo un fatto non prevedibile per l’utente, a cui la legge, e la logica, affidano primariamente la propria sicurezza.
Suprema Corte di Cassazione sezione VI
Sentenza 12 novembre 2015, n. 23108
Svolgimento del processo
E’ stata depositata la seguente relazione.
” 1) R.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Monreale, l’Acqua Park XXXXXXXX s.r.l., chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla sua caduta avvenuta all’interno della struttura a causa della presenza di chiazze d’acqua sul vialetto che conduceva alle piscine. Si costituì la convenuta, indicando come responsabile la s.r.l. XXXXXX, proprietaria del parco acquatico; il contraddittorio fu esteso alla s.n.c. XXXXX ed alla XXXXX assicurazioni, e tutti chiesero il rigetto della domanda.
Il Tribunale accolse in parte la domanda, riconoscendo una responsabilità del M. nella misura del 50 per cento, e condannò la s.r.l. Arca Costruzioni al pagamento della somma di euro 14.851,98, nonché la società Oasi Azzurra a tenere indenne la società condannata nella misura della metà.
2) Avverso la sentenza è stato proposto appello principale da parte della la s.r.l. XXXXXXX e appelli incidentali da parte del M., della XXXX s.p.a., dell’Acqua Park XXXXXXX s.r.l. e della s.n.c. XXXXXXXX.
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 9 aprile 2013, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria del M., condannandolo al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio nei confronti della s.r.l. Arca Costruzioni.
3) Contro la sentenza d’appello ricorre R.M. con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste la s.r.l. XXXXXX con controricorso.
4) Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato. 5. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 del codice civile, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
5.1) Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 2051 cod. civ., assume decisiva rilevanza che la Corte d’appello – con valutazione di merito non sindacabile in questa sede – ha attribuito la responsabilità dell’evento dannoso all’esclusiva colpa del M., riconducibile al fatto che egli avrebbe dovuto usare maggiore prudenza, in particolare utilizzando l’apposito corrimano; e comunque, il fatto si era verificato di giorno, in una situazione di piena luminosità e la chiazza d’acqua era «perfettamente visibile da parte di chi adoperasse anche una minima attenzione». Il comportamento colposo del M. integrava gli estremi del caso fortuito che, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., scagionava il custode dalla propria responsabilità. È sufficiente rammentare, in proposito, che tale decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha riconosciuto che, ai fini di cui all’art. 2051 cod. civ., il caso fortuito può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato (v., tra le altre, le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, 20 gennaio 2014, n. 999, e 13 gennaio 2015, n. 287). 5.2. In riferimento alla censura di vizio di motivazione, si rileva che, trattandosi di sentenza pubblicata in data 9 aprile 2013, deve essere applicato il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nel testo introdotto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è configurabile il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nel presente caso, le testimonianze riportate nel ricorso sono state oggetto di esame e valutazione da parte della Corte d’appello, sicché la censura è da ritenere inammissibile sulla base dei criteri indicati dalla sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, delle Sezioni Unite di questa Corte. 6. Si ritiene, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato».
Motivi della decisione
1)Non sono state presentate memorie alla trascritta relazione.
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni.
2) Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.