Avevamo dato notizie in un post di un’interrogazione parlamentare dell’ On.le Brando Benifei, parlamentare europeo, che aveva sollevato un tema molto importante per i parchi di divertimento, quello dei limiti conseguenti all’applicazione della disciplina del Secondary Ticketing a un’industria che è del tutto estranea al fenomeno.
Nell’interrogazione si segnalava l’impossibilità per il settore di avvalersi delle grandi piattaforme internazionali di ticketing, dovuta alla mancata certificazione secondo la disciplina dell’Agenzia delle Entrate – emanata 20 anni fa, quando Internet era ancora di pochi – dell’interfaccia web di siti esteri che vendono milioni di biglietti per spettacoli e divertimento in tutto il mondo e comunque condizionata dal limite del 10 biglietti per acquirente e dall’obbligo di avvalersi di una verifica di secondo livello, attraverso il cellulare, che rende impossibile la vendita massiva di titoli di accesso con processo digitale, senza intervento umano. Limiti, questi, applicati solo in Italia, che impediscono ai parchi italiani di competere a parità di condizioni sul mercato europeo e internazionale, creando un danno economico alle imprese e all’Erario che, limitando di fatto le vendite, rinuncia anche alle entrate relative ai relativi tributi.
La risposta di Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno e i servizi, evidenzia che “Per quanto riguarda le altre prescrizioni concernenti i servizi della società dell’informazione non connessi al settore fiscale, la Commissione osserva che alla prestazione transfrontaliera di servizi di biglietteria online in Italia da parte di prestatori stabiliti in altri Stati membri si applica il principio del paese d’origine di cui all’articolo 3 della direttiva 2000/31/CE. L’applicazione a detti prestatori transfrontalieri delle prescrizioni vigenti in Italia sarebbe pertanto contraria alla suddetta direttiva, a meno che non si richieda una deroga ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della medesima direttiva per i provvedimenti adottati nei confronti di un determinato servizio della società dell’informazione transfrontaliero (1)”. In sostanza, obblighi come il CAPTCHA e l’Opt-In, certamente non di natura fiscale, sono contrari alla citata Direttiva sul commercio elettronico. La clausola relativa al mercato interno della Direttiva è un principio fondamentale nel commercio elettronico, e garantisce che i prestatori di servizi online siano soggetti al diritto dello Stato membro in cui sono stabiliti e non al diritto degli Stati membri in cui il servizio è accessibile. In altre parole, i più noti portali internazionali sono soggetti alla disciplina del paese d’origine anche se accessibili dall’Italia attraverso il web.
Ma si dice di più nella risposta del Commissario Breton: “A tale riguardo, la Corte di giustizia ha recentemente chiarito che detta deroga non può applicarsi a provvedimenti di carattere generale e astratto riguardanti una categoria di determinati servizi della società dell’informazione descritta in termini generali, e applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di tale categoria di servizi (2)”. Dunque, anche se l’Italia richiedesse una deroga alla Direttiva sul commercio elettronico riferita all’intero settore dello spettacolo, questa sarebbe concessa solo relativamente a casi molto specifici.
Dopo la riunione dello scorso dicembre dell’associazione con i vertici dell’Agenzia delle Entrate e della SIAE, la risposta della Commissione Europea del 23 gennaio conferma le ragioni di Parchi Permanenti Italiani, che ha segnalato un problema che impedisce lo sviluppo del mercato attraverso nuovi canali di vendita, prospettate alla competente istituzione europea dall’On.le Benifei.