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Senza documento di valutazione dei rischi il lavoro a chiamata diventa a tempo indeterminato

Aprile 17, 2018 by maurizio crisanti Lascia un commento

dvr documento di valutazione rischi lavoro intermittente chiamataCon l’avvio della stagione, i parchi divertimento e tante attività estive attivano contratti di lavoro intermittente, o a chiamata, anche nel settore dei parchi acquatici e parchi avventura.

A questo proposito l’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) ha emanato la lettera circolare n. 49 del 15/03/2018 segnalando che numerose sentenze confermano l’interpretazione ministeriale, secondo la quale in carenza del documento di valutazione dei rischi, o DVR, il rapporto di lavoro a chiamata si trasforma in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 

Così il testo della circolare: “la violazione della norma imperativa di cui all’art. 14, comma 1, lett. c) consegue la trasformazione del rapporto di lavoro in un rapporto subordinato a tempo indeterminato che normalmente, in ragione del citato principio di effettività delle prestazioni, potrà essere a tempo parziale “.

Dunque le conseguenze della mancata adozione del DVR sono molto pesanti per i datori di lavoro che impiegano lavoratori a chiamata. Ecco il testo del provvedimento.

 


ISPETTORATO DEL LAVORO

Lettera circolare n. 49 del 15 marzo 2018
Oggetto: lavoro intermittente – assenza documento di valutazione dei rischi – riqualificazione rapporti di lavoro.

In relazione alla problematica, sollevata da alcuni Uffici territoriali, concernente le violazione delle disposizioni di cui all’art. 14 D.Lgs. n. 81/2015 ed in particolare del divieto di stipula del contratto di lavoro intermittente in assenza della valutazione dei rischi, si ritiene opportuno formulare le seguenti precisazioni.

Com’è noto il Ministero del lavoro, con circolari nn. 18 e 20 del 2012, ha sempre sostenuto che la stipula di un contratto di lavoro intermittente in violazione della richiamata disposizione imperativa comporta la conversione del rapporto di lavoro intermittente in un ordinario rapporto di lavoro subordinato.

Tale conclusione si fonda su di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, sebbene formatosi in relazione al contratto a termine, ha espresso il principio generale secondo il quale la contrarietà a norma imperativa di un contratto di lavoro “atipico” ne comporta la nullità parziale ai sensi dell’art. 1419 c.c. con conseguente conversione dello stesso nella “forma comune” di contratto di lavoro subordinato.

La sentenza della Cassazione civ. sez. Lavoro del 2 aprile 2012 n. 5241, in particolare, è intervenuta proprio sulla stipula del contratto “atipico” – a tempo determinato – in assenza della valutazione dei rischi chiarendo, anche al fine di superare isolate sentenze di merito di segno contrario, che “la specificità del precetto, alla stregua del quale la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trova la ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti dì lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione, come con dovizia emerge dal rapporto OIL, del 28 aprile 2010, Rischi emergenti e nuove forme dì prevenzione in un mondo del lavoro che cambia”.

Del resto, la valorizzazione di tale precetto in funzione della protezione di lavoratori “meno esperti” a causa della loro minore familiarità con l’ambiente di lavoro, conseguente alla stipula di contratti “atipici” che non implicano uno stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, era stata già oggetto di precedenti interventi della Corte di Cassazione (cfr., fra le altre, Cass. n. 11622/2007).

Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione individua nella nullità parziale del contratto stipulato “contra legem” e nella conseguente conversione nella forma comune del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la “sanzione” adeguata a colpire tali fattispecie, atteso che “il beneficio della stabilità dell’impiego deve essere inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori (così Corte giustizia Comunità europee, sentenza 22 novembre 2005, causa C – 144/04, Mangold, punto 64; sentenza Angelìdaki, punto 104)”. In proposito, infatti, la salvaguardia dell’efficacia del tipo negoziale comune garantita dal meccanismo degli artt. 1419 e 1339 c.c. viene sostenuta in base “al carattere eccezionale della nullità totale (v., fra le altre, Cass. 10050/1996; Cass. 11248/1997) e, dall’altro, alla portata della norma di cui al secondo comma dell’art. 1419 c.c.

In particolare è stato affermato che, ai fini dell’operatività della disposizione di cui all’art. 1419, secondo comma, cc. che contempla la sostituzione delle clausole nulle di un contratto contrastanti con norme inderogabili, con la normativa legale, non si richiede che le disposizioni inderogabili dispongano espressamente la sostituzione, in quanto la locuzione codicistica (“sono sostituite di diritto”) va interpretata non nel senso dell’esigenza dì una previstone espressa della sostituzione, ma in quello dell’automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina (v., ex multis, Cass. 6170/2005)”.

Sul punto, a parere della Corte, soccorrono anche le pronunce della Corte Costituzionale che ha chiarito – in riferimento alla fattispecie del contratto a tempo parziale – come la sanzione della nullità del contratto di lavoro per contrarietà a norma imperativa non possa non trovare un necessario contemperamento nella necessità di salvaguardare il lavoratore cui il testo contrattuale si presume essere stato imposto. Pertanto, secondo la Corte il Giudice dovrà tenere conto del fatto che “la disciplina degli effetti della contrarietà del contratto a norme imperative trova in questo campo (come anche in altri) significativi adattamenti, volti appunto ad evitare la conseguenza della nullità del contratto.

Ciò in ragione del fatto che, se la norma imperativa è posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall’altro contraente, la nullità integrale del contratto nuocerebbe, anziché giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere. Così non si dubita che non si estende all’intero contratto la nullità, per motivi dì forma o di contenuto, del patto di prova (art. 2096 cc.) o del patto di non concorrenza (art. 2125 cc), oppure del patto con cui venga attribuito al datore di lavoro un potere illimitato e incondizionato di variare unilateralmente le mansioni o il luogo di lavoro (art. 2103 secondo comma cc), ovvero della clausola appositiva di un termine alla durata del contratto di lavoro (L. 18 aprile 1962 n. 230), ovvero della clausola che preveda la risoluzione del rapporto di lavoro in caso dì matrimonio (L. 9 gennaio 1963, n. 7. art. 1), e così via. Ed il medesimo assetto si registra anche rispetto a pattuizioni che incidono sullo stesso schema causale del contratto: così è per “apprendistato… e per il contratto di formazione lavoro… posto che la nullità delle relative pattuizioni – per motivi di forma o procedimentali ovvero per difetto delle condizioni sostanziali di ammissibilità di tali figure contrattuali – non è comunque idonea a travolgere integralmente il contratto, ma ne determina la cd. conversione in un “normale” contratto di lavoro (o meglio, la qualificazione del rapporto come normale rapporto di lavoro, in ragione dell’inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale) senza che vi sia spazio per l’indagine – oggettiva o soggettiva – circa la comune volontà dei contraenti in ordine a tale esito (Corte Cost. n. 210/1992)”.

Tali considerazioni, per la loro natura e portata generale, valgono evidentemente anche per la fattispecie in questione, nel cui contesto l’assenza della valutazione del rischio comporta un vizio del contratto che va corretto ai sensi dell’art. 1419 c.c., senza che possa avere alcun rilievo la mancanza di una norma “sanzionatoria” espressa.

Non a caso, infatti, la prevalente giurisprudenza di merito ha recepito i principi enucleati dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, pronunciandosi nei casi di stipula di contratti di lavoro intermittente in assenza della valutazione dei rischi, per la conversione nella forma comune di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

In particolare il Tribunale di Vicenza con sentenza n. 343 depositata il 19 luglio 2017 ha sostenuto che il contratto di lavoro intermittente, in assenza del documento di valutazione dei rischi, si considera nullo, con conseguente riconducibilità del rapporto di lavoro alla fattispecie tipica del contratto di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 1419 c.c. Ciò in ragione del fatto che le esigenze di protezione di un diritto primario, quale quello alla salute, non possono che portare “alla declaratoria di nullità dei contratti di lavoro atipici, quale quello in esame, stipulati in violazione della specifica norma di prevenzione, che esige una particolare protezione per i lavoratori”.

Il Tribunale di Milano, con sentenze nn. 1806 e 1810 del 19 e 20 giugno 2017, non ha ritenuto, in alcun modo, ostativa alla conversione del rapporto di lavoro la circostanza che tale “sanzione” non sia espressamente prevista dal legislatore; in proposito, infatti, il Tribunale chiarisce che, sebbene sia vero che il legislatore abbia previsto espressamente la conversione del rapporto di lavoro soltanto in caso di superamento della durata massima del contratto, “va tuttavia considerato che l’assenza della valutazione dei rischi forma oggetto di un preciso divieto alla conclusione di contratti di lavoro intermittente.

Ne consegue che, in presenza di un rapporto pacificamente di lavoro subordinato e di fronte alla violazione del divieto previsto per legge, la conseguenza non può che essere la sussunzione del rapporto nell’alveo dell’ordinario rapporto di lavoro”.
Naturalmente, va evidenziato, anche alla luce dell’accertamento oggetto di esame da parte del Tribunale di Ferrara e come peraltro sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, che la conversione dei rapporti intermittenti in rapporti di lavoro ordinario non può in ogni caso confliggere con il principio di effettività delle prestazioni secondo cui i trattamenti, retributivo e contributivo, dovranno essere corrisposti in base al lavoro – in termini quantitativi e qualitativi – realmente effettuato sino al momento della conversione.

In tal senso, nel confermare l’orientamento della giurisprudenza richiamata, alla violazione della norma imperativa di cui all’art. 14, comma 1, lett. c) consegue la trasformazione del rapporto di lavoro in un rapporto subordinato a tempo indeterminato che normalmente, in ragione del citato principio di effettività delle prestazioni, potrà essere a tempo parziale.

IL CAPO DELL’ISPETTORATO
Paolo Pennesi

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