Abbiamo già parlato dell’obbligo INPS dei collaboratori familiari e dei vari casi di esonero. Ma come regolarizzare la posizione INPS dei collaboratori familiari in caso di convivenza e unioni civili? L’INPS, con circolare n. 66 del 31/03/2017 distingue le due situazioni riguardo alla posizione previdenziale dei coadiuvanti familiari, siano essi uniti civilmente o invece conviventi di fatto.
Nella sostanza l’INPS dice si all’assimilazione ai collaboratori familiari dei coniugi vincolati da unioni civili, e no al riconoscimento dei conviventi di fatto come collaboratori familiari.
Ecco un estratto della circolare INPS:
“1. Le Unioni civili.
Le unioni civili sono definite “specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione” e sono costituite, in assenza di cause impeditive di cui all’art. 1, comma 4, da “due persone maggiorenni dello stesso sesso… (omissis) … mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni”. Risultano di specifico interesse, nell’ambito dell’individuazione dell’obbligo contributivo nelle gestioni autonome, il comma 13 ed il comma 20. Quest’ultimo prevede che, in materia di Unioni civili, “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché’ negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché’ alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184”. Pertanto, qualsiasi disposizione normativa, regolamentare o amministrativa, oltreché tutte le disposizioni del codice civile espressamente richiamate dalla legge n. 76/16, che contengano la parola “coniuge”, devono intendersi riferite anche ad ognuna delle parti dell’Unione civile.
Lo status di coniuge rileva ai fini dell’individuazione dei soggetti che svolgono attività lavorativa in qualità di collaboratori del titolare d’impresa o, se l’impresa assume forma societaria, di uno dei titolari. Infatti, nell’ambito della gestione previdenziale degli artigiani, l’art. 2, comma 2, n. 1) della legge n. 463/1959 e s.m.i., che estende l’assicurazione previdenziale per gli artigiani ai “familiari coadiuvanti”, indica “il coniuge”; di contenuto analogo, l’art. 2 comma 1 della legge n. 613/1966 e s.m.i., che annovera tra i soggetti obbligati all’iscrizione alla gestione degli esercenti attività commerciali i “familiari coadiutori”, tra cui “il coniuge”.
La suddetta equiparazione tra il coniuge ed ognuna delle parti dell’Unione civile comporta la necessità di estendere le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche
ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile, registrato ai sensi di legge e comprovato da una dichiarazione sostitutiva della dichiarazione di cui all’art. 1, comma 9 della
legge n. 76/2016 e all’art. 7 del DPCM n. 144/2016.
Ne deriva che, in sede di comunicazioni di eventi che il titolare è tenuto ad effettuare mediante il sistema ComUnica, introdotto dalla legge n. 40/07 ed in vigore a partire dal 1/4/2010, egli potrà indicare come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo, nel campo relativo al rapporto di parentela, quale coniuge. Per quanto attiene al regime patrimoniale applicabile alle Unioni civili, il comma 13 della legge in questione considera applicabili, tra le altre, anche le disposizioni di cui alla sezione VI, del capo VI, del titolo VI, del libro I del codice civile.
In tale ambito rientra l’art. 230 bis c.c., che disciplina l’impresa familiare e i diritti ed obblighi dei relativi partecipanti.
La disposizione precisa che tra i familiari di cui essa assicura la tutela rientra il coniuge. Pertanto, anche con riferimento al campo di applicazione dell’istituto dell’impresa familiare, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale.
2. Le convivenze di fatto.
Le convivenze di fatto consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La nuova normativa estende al convivente alcune tutele, espressamente indicate, riservate al coniuge o ai familiari, ad esempio in materia penitenziaria, sanitaria, abitativa, ma non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente, per quanto di interesse, gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore. Pertanto, il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare. Le sue prestazioni saranno quindi valutabili, in base alle disposizioni vigenti ed alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto.
E’ utile evidenziare, inoltre, che il comma 46, che aggiunge l’art. 230 ter al codice civile, attribuisce al convivente “che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente“ il diritto di “partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato”, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società. Tale innovazione, peraltro, non attribuisce ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui godono i familiari individuati dall’art. 230 bis, poiché a tal fine il legislatore avrebbe utilizzato locuzioni idonee ad includere il convivente nella formulazione del predetto articolo e non avrebbe al contrario introdotto un nuovo articolo, che disciplina separatamente i diritti del convivente che presti attività in un’impresa familiare.
In ogni caso, ai fini che qui interessano, si ritiene che, alla luce del tenore letterale e dell’interpretazione delle disposizioni introdotte, l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto, da parte del titolare, ai sensi del nuovo articolo 230 ter, non abbia alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.
A seguito delle opportune istruzioni che saranno emanate dalla competente Autorità finanziaria, per regolamentare gli aspetti fiscali di tale innovazione legislativa e le eventuali problematiche connesse, l’Istituto procederà ai conseguenti approfondimenti, utili ad individuare la corretta lettura dei dati reddituali forniti periodicamente dall’Agenzia delle Entrate.”