Ancora sanzioni alla Corea del Nord: niente attrazioni o nuovi parchi divertimento. Tra le tipologie di beni dei quali ieri il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha impedito la commerciabilità, l’embargo è stato esteso alle attrazioni ed ai parchi divertimento. Quelle deliberate in settimana sono le sanzioni più dure degli ultimi vent’anni alla Repubblica Democratica Popolare di Corea – si fa per dire, visto che si tratta di quella della Corea del Nord è una delle più feroci dittature ancora in essere – motivate dai recenti test sulle armi nucleari del paese asiatico. In Corea del Nord il giovane dittatore Kim Jong-un, classe 1983 – forse, perchè di lui non si conosce la data di nascita – ha studiato in Svizzera, e non disdegna lusso e divertimento. Tra le sue passioni anche quella per i parchi di divertimento.
A Pyongyang, capitale della Corea del Nord, risiede il 10% degli abitanti dell’intero paese, circa 25 milioni, e la classe al potere è composta prevalentemente da esponenti del Partito del Lavoro di Corea – che terrà il proprio Congresso, a 30 anni di distanza dal precedente, la prossima settimana – e dai militari. Essi possono divertirsi scegliendo tra tre diversi parchi di divertimento, tutti nell’area della capitale. Il più recente è il Rungna People’s Pleasure Ground, struttura tematica, acquatica e con un delfinario, il cui progetto e le attrazioni sono italiane. Non è un segreto, perchè si vede dalle immagini presenti sul web, che le attrazioni siano di produzione Zamperla. Si tratta di un progetto da 20 milioni di dollari che ha visto le imprese italiane protagoniste della nuova realizzazione, che hanno progettato e realizzato il parco coreano. Anche il Pyongyang city waterpark, parco acquatico della capitale, è stato progettato e realizzato da una ditta veneta, la New Dieresin.
Due riflessioni: la prima sulla produzione italiana di attrazioni: come affermato da Alberto Zamperla in occasione di una intervista del 2012, riguardante la commessa nord coreana, appare più facile ricevere commissioni di nuove attrazioni dalla Corea del Nord che dal parco italiano che dista 65 km dalla sede vicentina dell’azienda. C’è da riflettere sul fatto che alcune imprese italiane che realizzano attrazioni ed esportano all’estero più del 95 per cento della produzione, siano assai più attive all’estero che in Italia. Di alcuni marchi, nelle direzioni dei parchi tematici italiani, non si è neanche sentito parlare. Eppure esse sono presenti in tutto il mondo. Una circostanza che, se da una parte è la chiave del successo di queste imprese, che non sarebbero certo sopravvissute alla crisi del nostro Paese, dall’altra deve far riflettere su alcuni aspetti del mercato interno.
La seconda considerazione è sull’embargo del divertimento: il provvedimento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – che danneggerà soprattutto imprese italiane – è motivato, in più parti delle 19 pagine che lo compongono, dal fatto di voler colpire con l’embargo solo la casta al potere, e non la popolazione, che soffre di malnutrizione, dovuta alla carestia, e carenze sul piano dell’assistenza sanitaria, in un Paese dove anche l’energia elettrica è un bene prezioso. Si è colpito un mercato, quello delle giostre, che ha forti implicazioni con la produzione italiana. Sarà vero che solo una piccola parte della popolazione, quella che sostiene la dittatura, ha accesso ai parchi di divertimento. Che tuttavia le attrazioni siano diventate oggetto di contesa a livello internazionale, è un fatto veramente nuovo, che fa riflettere. Da una parte le attrazioni sono riconosciute come beni di consumo ed indicatori di una economia florida, di matrice occidentale, il cui accesso si vuole negare a stati canaglia come la Corea del Nord, sempre più isolata nel contesto mondiale. Basti pensare che in questa occasione, in Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stata difesa neanche dal suo sponsor principale, la Cina. Dall’altra il divertimento diventa a pieno titolo uno dei beni il cui embargo più danneggiare l’economia di un paese. Lo considero un passo avanti nella considerazione di un settore che, da emblema del superfluo, diventa uno degli elementi che contraddistinguono il benessere di una nazione, la cui carenza contribuisce a danneggiare lo stile di vita – e la felicità – delle persone.