E’ dei primi di Giugno la notizia, ripresa da numerosi quotidiani, che la figlia di una nota artista e cantante, non vedente, non sia stata ammessa a fruire dei percorsi “baby” in un noto parco avventura ligure. La madre ha spiegato ai giornalisti che in una struttura non distante la bambina aveva invece potuto fruire del percorso, sia pure accompagnata. I titoli di giornale hanno evidenziato il comportamento discriminatorio, mentre la pagina Facebook dell’artista ha raccolto numerose espressioni di solidarietà.
Chi ha ragione? Dico la mia: non sono un tecnico della sicurezza, ma ho seguito i lavori per l’elaborazione delle “raccomandazioni” dell’Istituto Superiore di Sanità sulla accessibilità dei parchi di divertimento per persone con esigenze speciali, ed ai test condotti nei parchi di divertimento prima di elaborare la guida (disponibile a questo link) e faccio parte della Commissione Provinciale di vigilanza sui luoghi di spettacolo di Roma. Il documento citato contiene, tra l’altro, un interessante approfondimento di carattere giuridico, che evidenzia le responsabilità dei progettisti e gestori, in un quadro normativo che, come specificato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, impone di evitare ogni tipo di discriminazione fondata sulle diverse abilità o patologie. Il tema è complesso, in quanto non esiste “la” disabilità, ma “le” disabilità, classificate scientificamente in circa 200 diverse tipologie, al cui interno possono ravvisarsi diversi livelli di gravità. E’ quindi difficile generalizzare. Anche i parchi avventura sono impianti “su misura”, ed il fatto che l’accessibilità sia gestita in maniera difforme da struttura a struttura, dipende principalmente dalla valutazione dei rischi effettuata da progettista e gestore.
Per rispondere alla domanda di prima, bisogna inquadrare il tema sulla base di alcuni criteri, dalla cui applicazione deriverà una risposta. La mia, ovviamente:
– La sicurezza prima di tutto: può sembrare cinico – ed è umanamente difficile – negare l’accesso ad un contesto ludico, si tratti di un parco avventura o di un’attrazione, ad una persona diversamente abile sulla base di supposte carenze di requisiti oggettivi per fruire del divertimento in sicurezza. La sicurezza del pubblico ha tuttavia la priorità anche su obiettivi, legittimi e ampiamente condivisi, di inclusione sociale e rimozione di ogni tipo di discriminazione, e non può essere chiesto al gestore di derogare da questo principio, per evidenti profili di responsabilità civile, penale e di copertura assicurativa.
– Le limitazioni devono essere tecnicamente supportate: spesso si leggono in giro regolamenti o cartelli nei quali si comunica la limitazione dell’accesso a categorie di persone come donne in stato interessante o cardiopatici ecc. . Mi chiedo: dietro a quel divieto c’è una reale valutazione dei rischi? In base a quali elementi tecnicamente valutabili si è stabilita dunque la limitazione? Certamente la Convenzione ONU impedisce di applicare limitazioni sulla base di semplici categorizzazioni, ma non sancisce un diritto assoluto delle persone diversamente abili di avere accesso ad attività potenzialmente pericolose.
– I soggetti coinvolti devono compiere un percorso comune: un “no” comporta evidente sofferenza, e migliorare l’accessibilità è un dovere morale, oltre che un obbligo di legge. C’è quindi bisogno di specifica formazione per gli addetti – quella che si fa già in alcuni parchi di divertimento – per imparare a gestire la relazione con accompagnatori e persone diversamente abili, e di comunicazione, sul sito, sui depliant, affinché tutti possano facilmente accedere alle indicazioni relative agli ospiti con diverse abilità.
– L’accomodamento ragionevole: i gestori devono ragionare sull’obbligo giuridico, che considero dovere morale, introdotto dall’articolo 2, quarto comma, della Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con Legge n°19 del 2009, che introduce il concetto di accomodamento ragionevole. Gli “accomodamenti ragionevoli” sono “le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.
La risposta? Io credo che sia ragionevole affermare il principio, condiviso anche dalle Associazioni che rappresentano le persone con diverse abilità, con le quali abbiamo proficuamente collaborato nella stesura del documento dell’Istituto Superiore di Sanità, che non tutte le attrezzature per il divertimento potranno rivelarsi completamente accessibili a chiunque. Una attenta valutazione dei rischi, realizzata da professionisti con il supporto di esperienza dei gestori, dovrà mirare ad evidenziare le criticità, verificando semmai se sul pianto tecnico sia possibile rimuovere ostacoli di tipo fisico, meccanico o funzionale sulla base della sostenibilità economica degli interventi. In ogni caso, quando si addivenga a non poter evitare limitazioni, sarà bene valutare se gestirle sulla base di livelli, del tipo: “ è raccomandato”, “è sconsigliato”, “è fortemente sconsigliato” ecc.